Discussione generale
Data: 
Martedì, 9 Gennaio, 2024
Nome: 
Lia Quartapelle Procopio

A.C. 1624

Grazie, Presidente. Credo che la discussione che facciamo oggi sia una discussione importante in materia di politica estera, e anche la qualità e il numero degli interventi lo testimonia. La Presidente del Consiglio, nel suo discorso di insediamento, annunciò il Piano Mattei come uno degli obiettivi di legislatura. Noi prendiamo sul serio questo impegno del Governo e della Presidente in prima persona a rilanciare i rapporti tra Italia e Africa. Pensiamo anche che sia un'idea giusta quella di puntare, in termini di priorità della nostra politica estera, sul rapporto con il continente africano. Tanta parte del futuro dell'Italia si gioca con l'Africa, in Africa e nel Mediterraneo. Noi siamo il cardine del rapporto tra Europa e continente africano e sappiamo quanto sia importante il continente africano in termini di sicurezza energetica e di stabilità. Infatti, se noi, di fatto, confiniamo con Paesi che sono in guerra o che sono instabili, ne risentiamo. Sappiamo quanto sia importante l'Africa dal punto di vista delle migrazioni e del contrasto alle disuguaglianze globali. Per cui, che il nostro Paese si prefigga, come obiettivo qualificante della legislatura in termini di politica estera, di rilanciare e portare a un livello più alto i rapporti con il continente africano, non può che vederci a favore. Cito le parole della dichiarazione Schuman del 1950, che contiene uno dei tratti fondanti del nostro essere Europa: “(…) l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti fondamentali: lo sviluppo del continente africano”. Quindi, il ruolo che si dà all'Italia nel rilanciare i rapporti tra Europa e Africa, e tra Italia e Africa, è un ruolo che diventa anche di guida di un'azione continentale. Proprio perché noi vi prendiamo sul serio, però, alziamo anche noi l'asticella. Il primo punto che vorrei sollevare, qui, oggi, è che non siete i primi a puntare sull'Africa. Ascoltavo le parole del collega Pozzolo…

…del collega Loperfido, mi scuso del lapsus, è molto indicativo, per quello che dirò poi dopo. Emanuele, ma Loperfido. Ascoltavo le parole del collega Loperfido e sentivo l'eco di parole che abbiamo, magari, utilizzato anche noi. Per questo mi sento di invitare la maggioranza a un po' di cautela. Anche da questi banchi, in altre stagioni di Governo, noi abbiamo usato parole per dire che eravamo i primi, che eravamo quelli che avrebbero cambiato. Questo poi dopo ci è tornato indietro. Quindi vi inviterei a un po' di cautela rispetto ai rapporti con il continente africano, perché non è la prima volta che l'Italia cerca di alzare il livello dei rapporti con il continente africano. Prima, il collega Loperfido citava vari esponenti politici, anche della Prima Repubblica, che hanno provato a fare dell'Africa una delle priorità italiane ed europee. Veniva menzionato Pannella, a me correrebbe anche il dovere di citare Fanfani e di citare Craxi, che, con il suo Governo, investì quasi 2.000 miliardi delle allora vecchie lire in un intervento contro la fame nel continente africano. Quindi non è stata la prima volta. Nella Seconda Repubblica, mi corre l'obbligo di ricordare l'impegno del Presidente Prodi, il primo Presidente europeo a partecipare a una riunione dell'Unione africana nel 2007, e del Presidente Renzi, che fece per primo una serie di missioni in Africa, con l'idea precisa di innalzare il livello della presenza italiana in Africa, aprendo un certo numero di ambasciate. Lo dico perché continuare a dire che siamo i primi, secondo me, va detrimento del fatto che c'è una linea di continuità della politica estera, che un Governo come il vostro dovrebbe, invece, voler valorizzare, perché si parla prima di Patria e poi di parte, come ci ricordate spesso. Questo è uno di quei luoghi dove potete cercare di dare conto di quello che ha fatto l'Italia prima che arrivaste voi. Lo dico anche perché questa è una delle debolezze del vostro approccio. Voi state smontando uno strumento di politica estera, che è lo strumento finora più utilizzato e più efficace, ossia la legge n. 125 del 2014 per gli interventi con il continente africano, e lo smontate a favore di una cabina di regia di Palazzo Chigi. Ora, credo che sarebbe opportuno discutere dell'efficacia degli strumenti finora a disposizione della Farnesina per le iniziative africane, prima di montare uno strumento diverso, perché, se non funziona quello che c'era prima, bisogna capire perché, prima di fare una cosa completamente diversa. E ricordo che la legge n. 125 del 2014 è una legge bipartisan, che porta i nomi del senatore Tonini e del senatore Mantica: quest'ultimo fu un esponente di grande peso di Alleanza Nazionale al Governo e si occupò, a partire dalla vostra parte culturale, proprio dei rapporti con l'Africa. Quindi, voi state smontando non solo il lavoro di maggioranze parlamentari diverse dalle vostre, ma anche una parte del vostro portato politico e culturale. E questo è un peccato, anche perché non ci avete spiegato finora per quale motivo gli strumenti a disposizione del rapporto tra Italia e Africa non funzionano. Questo è il primo punto. Il secondo punto, rispetto alle parole roboanti che usate, è la scelta di continuare a dire che questo Piano è scevro da logiche predatorie.

Io su questo mi scaldo per una ragione: questa idea che l'Italia sia il Paese che riesce ad avere un rapporto sincero con l'Africa, mentre tutti gli altri Paesi europei sono oppressi dalle logiche coloniali e postcoloniali, è semplicemente un pregiudizio a nostro favore, un pregiudizio basato su tantissima ignoranza e sul fatto che noi, come Paese, non abbiamo mai fatto i conti reali con il portato coloniale della nostra esperienza coloniale. Infatti, dire che noi oggi siamo buoni mentre gli altri sono cattivi, rispecchia l'idea che il nostro era un colonialismo di brava gente e quello degli altri invece era un colonialismo predatorio. Allora, io su questo mi scaldo perché non è così e richiamo all'attenzione di quest'Aula una serie di episodi che riguardano la nostra storia coloniale, con i quali non si sono mai fatti i conti. Ricordo gli episodi del gas mostarda, utilizzato contro le popolazioni civili dell'Etiopia; ricordo in Somalia, in Eritrea e in Etiopia, le sofferenze delle donne vittime del madamato, cioè del fatto che erano delle mogli comprate che, nel momento in cui i coloni se ne sono tornati in Italia, sono state abbandonate lì, loro che si consideravano mogli di italiani, mentre le loro comunità le consideravano invece delle traditrici, che hanno vissuto in povertà e in emarginazione fino alla fine della loro vita. Tutte queste sono vicende reali del portato coloniale italiano, di cui noi non abbiamo neanche mai chiesto scusa e neanche mai preso attenzione rispetto a quello che è stato. Ricordo un altro episodio, uno dei peggiori massacri di monaci della storia recente del mondo: 2000 monaci etiopi uccisi dalle truppe del generale Graziani a Debre Libanos e mi scaldo perché, nel 2012, quello stesso generale Graziani è stato commemorato con un mausoleo nella sua città natale, Affile, in Lazio, alla presenza dell'allora assessore della regione Lazio, Francesco Lollobrigida. Allora, vogliamo fare i conti con il nostro passato coloniale, prima di riempirci la bocca del fatto che noi siamo buoni e che gli altri sono stati cattivi? Anche sulla nostra coscienza nazionale di italiani ci sono centinaia di migliaia di queste storie e, se volete, potete farvele raccontare dai figli di quelle donne vittime del madamato: 349 di loro sono qui in Italia e hanno lottato negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta per ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana perché il nostro Paese, proprio perché non ha fatto i conti con il suo passato coloniale, ha fatto finta che non esistessero, che non fossero figli di italiani e che quindi non avessero diritto neanche alla cittadinanza del nostro Paese. Sono persone che si chiamano Francesco, Rosa o Angela, che vivono a Roma e che sono il frutto vergognoso delle politiche coloniali razziste del fascismo, che noi abbiamo voluto dimenticare. Allora, siccome voi appartenete a delle forze politiche che con quella storia dicono di aver fatto i conti, forse sarei un po' più attenta nel continuare a reiterare questa idea che il nostro è stato un colonialismo buono e che quindi la vostra politica estera con l'Africa sarà scevra da logiche predatorie, perché io ci sento tanto, tanto pregiudizio, tanta ignoranza e tanta difficoltà a fare i conti con il passato, soprattutto nei rapporti con il continente africano. Terzo punto, la scatola: questo Piano Mattei, a mio giudizio, è un enigma circondato da un mistero e il decreto che viene portato in Aula oggi è la riprova del fatto che stiamo parlando di un enigma circondato da un mistero. Stiamo parlando di una scatola vuota - veniva ricordato prima dal collega Della Vedova e da altri interventi che mi hanno preceduta -, questo provvedimento è una scatola vuota: voi create la scatola, ma non si capisce a cosa essa serva, tant'è che, quando si sente parlare di questo Piano Mattei, che doveva riguardare tutto il continente, se ne parla la Presidente del Consiglio o il Ministro degli Affari esteri, spesso, ultimamente, viene derubricato in “approccio Mattei” o in “metodo Mattei”: non è più un Piano continentale, ma diventa un modo per qualificare la nostra presenza nei Paesi africani.

Allora, su questo punto, mi sento, da parte dell'opposizione, di contribuire con alcune idee. Primo punto, i soldi: L'Italia non può fare una vera politica africana se non stanzia dei soldi. L'Africa è un continente enorme (54 Paesi): sono anni, dai primi anni Duemila, che le grandi potenze organizzano summit Cina-Africa, summit Europa-Africa, Piano Germania-Africa, White paper del Regno Unito con l'Africa, ma per tutte queste iniziative servono risorse e voi, in questa scatola vuota, in questo enigma circondato da mistero, soldi nuovi non ne mettete. Addirittura il Vice Ministro, che pure è venuto in Commissione a fare una discussione nel merito, l'ha proprio detto: “soldi in più, soldi nuovi, non ce ne sono”. Allora, di cosa stiamo parlando? Come può esserci un nuovo approccio, se soldi nuovi non ce ne sono? Quindi, come primo punto, credo si debba discutere con onestà tra di noi sul se e come un nuovo approccio, o un approccio rafforzato possa avere accesso a delle risorse in più. Ne dobbiamo discutere con onestà perché è chiaro che un approccio serio nei confronti dell'Africa viene fatto su una prospettiva pluriannuale e quindi questa deve essere una cosa che viene discussa con tutte le forze politiche e un impegno che si prende il Parlamento italiano, non questa o quella maggioranza per provare a dire - cito le parole del collega Loperfido - “questo è un momento epocale, bisogna cambiare tutto, è un decreto fondamentale”. Se vogliamo essere seri, discutiamo, da qui al 2030, delle risorse con cui, dati i vincoli della finanza pubblica, poter fare dell'Italia un attore serio, influente e affluente della cooperazione internazionale. Secondo punto: voi continuate a parlarci di investimenti, ma mi spiegate se nei Paesi che sono strategici per la nostra sicurezza energetica, immigrazione, terrorismo o stabilità, c'è qualcuno che vuole investire? Voi conoscete - ascoltavo prima un'impresa del Friuli-Venezia Giulia - un'impresa che oggi sia interessata a investire in Mali, in Niger, in Libia o in Mauritania? E' facile parlare di Africa, ma poi, se si guardano le cose, non ci sono imprese interessate a investire nei 5 Paesi del Sahel, dove ci sono stati dei colpi di stato nell'ultimo anno, o nel Sud Sudan. Allora, se vogliamo essere seri e qualificare la nostra presenza in Africa, cambiamo l'ordine dei fattori: eliminiamo l'idea per la quale non siamo predatori, però l'Africa è un grande continente di opportunità. Oggi in Africa, se si guarda a quello che sta succedendo sul territorio, c'è un grosso problema di instabilità e di interferenze russe. Come si riconquista influenza? Passandoci con l'Unione europea e investendo sulla mediazione e sulla stabilità. Vice Ministro, non mi guardi così: lei pensa che, da sola, l'Italia sia in grado di pesare - ripeto - in Mali o in Niger, dove oggi c'è l'influenza russa, o forse dobbiamo guidare un approccio europeo? Per guidare l'approccio europeo, che cosa dobbiamo fare se non coinvolgere le capitali europee, a partire dalla Francia, cosa che voi non avete fatto, a partire dal summit sull'immigrazione di luglio? Se si guarda dentro le cose, si vede tutto il limite del vostro approccio: mancano i soldi, non avete idee e le idee che avete non sono applicabili rispetto alla situazione africana. Terza idea: il tema della transizione ambientale. Benissimo Mattei: ci sono alcuni emendamenti del MoVimento 5 Stelle che puntano a cambiare il nome del Piano; a noi va benissimo che il Piano si chiami “Mattei”, non abbiamo problemi relativi al nome, però abbiamo problemi rispetto alla prospettiva: Mattei andava in Africa negli anni Cinquanta e Sessanta per estrarre le risorse naturali combustibili fossili. È questo il modello di sviluppo che noi vogliamo elaborare con l'Africa e per l'Africa del futuro, nel momento in cui decarbonizziamo la nostra economia? È questo il futuro che immaginiamo per l'Africa? Sì o no? Anche su questo non c'è scritto nulla, il vuoto. Ultimo punto: l'Italia può avere un grosso ruolo rispetto alla presenza africana nelle grandi organizzazioni internazionali, come Banca mondiale, Fondo monetario e Nazioni unite. Proviamo a lavorare su questo, proviamo ad aiutare i Paesi africani ad avere una presenza più qualificata, a farci voce delle richieste africane in questi consessi; se non ci sono soldi, almeno proviamo a fare politica! Anche di questo non c'è traccia.

L'ultimo punto riguarda l'Unione europea: l'ho già detto prima, può esistere un piano italiano senza l'Unione europea? Su questo finora non abbiamo visto alcun tipo di coordinamento degli annunci italiani con le realtà europee, forse perché, a Bruxelles, tendono a prendere sul serio i fatti e non gli annunci e aspettano un fatto dal Governo.

Concludo, dicendo che può essere evocativo utilizzare il nome di Mattei, siamo contentissimi che utilizziate il nome di un antifascista, di un combattente partigiano per una vostra politica, ma l'Italia non è più quella di Mattei, l'Africa di oggi non è più quella di Mattei e la nostalgia può essere una grande trappola, se non si è fatto i conti col passato e si continua a limitare agli slogan, senza guardare nel merito cosa voglia dire l'ambizione di proporre un nuovo piano epocale, straordinario dell'Italia per l'Africa.

Su questo saremo abbastanza inflessibili, cercheremo, per quanto possibile, nei limiti che ci vengono dati dal Governo, il quale porta un decreto il 22 dicembre per essere approvato entro il 14 gennaio, un decreto epocale che però il Parlamento ha meno di un mese per esaminare e nessuna possibilità di emendare. Noi saremo inflessibili da questo punto di vista, vi prenderemo sul serio nel bene e nel male, con proposte, con critiche, perché pensiamo che la sfida della nostra politica estera passi attraverso un rinnovato rapporto con l'Africa e non attraverso slogan, sulle spalle di un continente, dei quali non se ne farà sicuramente niente.